I MARTIRI DI CANNAREGIO
(7-8 luglio 1944)
L’eccidio di Cannaregio del luglio ’44 è il primo di una lunga scia di sangue che si inquadra in un periodo che potremo definire da “strategia della tensione”. Fino a quell’estate non si ebbero eclatanti azioni partigiane né vi furono azioni particolarmente sanguinarie in Città da parte dei nazifascisti.
La Resistenza si era distinta soprattutto per azioni di sabotaggio e informazione clandestina; d’altro canto Venezia, per la sua conformazione, rendeva un certo tipo d’azione praticamente impossibile, come molto difficile era la clandestinità. Oltretutto val la pena ricordare che l’RSI vi trasferì interi ministeri e numerosi uffici e che naturalmente nel capoluogo avevano sede tra i più importanti comandi fascisti e nazisti. Motivo per cui un numero impressionante di “foresti” in camicia nera o con la svastica risiedevano a Venezia. Tra l’altro questo aumentò l’avversione dei veneziani nei confronti dei due regimi, a causa dell’alto numero di abitazioni messe a disposizione di queste migliaia di persone che a vario titolo erano da loro impiegate, creando un vero e proprio problema casa e un aumento degli affitti.
Si diceva in premessa che nell’estate del ’44 il clima cambiò.
Successe che il famigerato maresciallo fascista Asara venne ucciso, non si seppe da chi, alle 14 circa del 6 luglio. Scattò la rappresaglia, secondo il modello nazista: 10 a 1. Il prefetto Cosmin (colui il quale nel gennaio precedente fu tra quanti pretesero l’immediata fucilazione dei condannati di Verona – Ciano, De Bono, Gottardi, Pareschi, Marinelli) diede ordine di assassinare nel sestiere di Cannaregio dieci antifascisti (cattolici, comunisti, liberali, agnostici).
Si formarono così 10 squadre, ciascuna di tre sgherri in borghese. Questi suonarono altrettanti campanelli nel cuore della notte tra il 7 e l’8 luglio, tra San Leonardo e San Canciano. Quattro non aprirono e per loro fu la salvezza, mentre per Ubaldo Belli, Luigi Borgato, Bruno Crovato, Piero Favretti, Augusto Picutti e Giuseppe Tramontin la sorte fu segnata da un colpo di pistola.
A dire il vero Tramontin, sebbene gravemente ferito alla testa, riusci miracolosamente a sopravvivere, grazie anche ad una straordinaria rete di solidarietà che comprese medici ed infermieri dell’Ospedale Civile.
La scia di sangue era solo all’inizio. Il 28 luglio la rappresaglia fascista assassinò 13 antifascisti sulle macerie di Ca’ Giustinian, sede della GNR fatta saltare in aria il giorno prima, mentre quella nazista il 3 agosto giustiziò 7 antifascisti credendo che i Partigiani avessero ucciso una loro sentinella, invece caduta ubriaca in acqua e morta affogata. Tempi duri per la Resistenza veneziana. Dopo poco sarebbe arrivato il “Proclama Alexander”. La carica sarebbe nuovamente suonata il 12 marzo del ’45 con la famosa “Beffa del Goldoni”.
Da anni il percorso della memoria il 25 aprile rende omaggio a questi caduti, assieme al Capitano Manfredi Azzarita, nativo di Cannaregio, trucidato alle Fosse Ardeatine, e al Rabbino Capo Adolfo Ottolenghi, morto durante la deportazione ad Auschwitz. Il percorso parte da C.llo Bruno Crovato a San Canciano, fermandosi ad ogni lapide che ricorda i caduti, per arrivare tra canti e bandiere in Campo del Ghetto, dove la Comunità Ebraica aspetta i suoi concittadini per accendere assieme, sotto il bassorilievo che ricorda la Shoah, i sei lumi. Uno per ogni milione di ebrei sterminati. Anche questo testimonia il forte e secolare legame di Venezia alla sua Comunità Ebraica.