Cerimonia di scoprimento della lapide in memoria di Sandro Gallo
Nel 70° anniversario dalla morte del comandante partigiano Sandro Gallo “Garbin” è stata scoperta una lapide a ricordo del suo sacrificio prodotta dall’Anpi di Venezia e quella Cadorina. Per l’occasione il profesor Giovanni Monico dell’ANPI del Cadore “Giovanna Zangrandi” ha pronunciato un discorso in ricordo dei fatti avvenuti a Domegge di Cadore che qui vogliamo riportare.
Venezia – Lido 20 settembre 2014
70° anniversario dei fatti di Domegge di Cadore
e della morte in combattimento di:
Alessandro Gallo “Garbin”
Alfredo Piccin “Mingi”
Giovanni Valentini “Lilli”
In Cadore molte persone ancor oggi ricordano i fatti di quel 20 settembre, sui quali non mi soffermerò in quanto già illustrati da chi mi ha preceduto. Io allora non ero ancora nato ma grazie alla memoria dei protagonisti, dei testimoni e quindi con la lettura dei documenti disponibili tanti come me si sono costruiti una propria conoscenza sulla guerra di liberazione 1943/45 in Cadore.
La Resistenza cadorina, a differenza di quella veneta in generale, non ha avuto inizialmente una radice politica la quale si formò invece in seguito, grazie all’opera del prof. Alessandro Gallo.
Il Cadore con l’intera pro-vincia assieme ai territori di Bolzano e Trento dal 10 settembre 1943 era stato annesso al Reich e quindi governato con le leggi ger-maniche compreso l’arruo-lamento nella Wehrmacht o nelle SS. Il Cadore era stato nei secoli terra d’in-vasione sin dai tempi della Lega di Cambrai e della quale si ricorda la vittoria del 2 marzo 1508 nella battaglia di Rusecco dove (“Veneziani e Cadorini il 2 marzo 1508 gli imperiali sterminando la via di Roma a Massimiliano d’Austria da Venezia contesa gloriosamente difesero”). Secoli dopo con la caduta della Serenissima, si ebbero alternativamente prima le invasioni francesi poi quelle austriache e la conseguente resistenza del 1848 con Pietro Fortunato Calvi che portò a quarantacinque giorni di libertà e fruttò alle Genti Cadorine la Medaglia d’Oro al Valor Militare che oggi onora la Bandiera del Comune di Pieve di Cadore. L’occupazione nazista e l’annessione al Reich complice la Repubblica Sociale Italiana, non fu accettata dalla popolazione, se non dai fascisti. Ciò generò un senso di paura e disperazione ma anche di insofferenza e rivolta che nei più giovani trovò sbocco nella ribellione e nella lotta clandestina.
Il primo nucleo di resistenti armati, tutti giovanissimi, si formò a Pieve di Cadore e si strinse attorno alla carismatica figura del loro professore Alessandro andando a costituire tra marzo e aprile 1944 il “Distaccamento Cadore” con base a Vedorcia, un monte che domina la valle del Piave nel Centro Cadore. La guerriglia iniziò con un atto politico; il volantinaggio del primo maggio davanti allo stabilimento della Safilo per continuare lo stesso giorno con il fallito attentato al Ministro Pavolini e proseguire il primo giugno con l’assalto alla corriera dei coscritti del 1925 diretta a Belluno per l’arruolamento e la loro “liberazione”. Molti di questi non volendo essere arruolati trovarono unica soluzione la clandestinità e quindi in breve il diventare partigiani della costituenda “Brigata Cadore” in seguito denominata “Calvi” che già nel luglio 1944 aveva un organico di 150 uomini in gran parte politicizzati e aderenti alle brigate garibaldine.
Gli obiettivi strategici, in gran parte condivisi con le forze alleate ivi rappresentate dal Capitano Steven Hall, consistevano nella liberazione dall’occupante, nella fine della Repubblica Sociale di Mus-solini, nell’impedire l’arruo-lamento dei residenti nel-l’esercito tedesco, nella salvaguardia degli impianti logistici e produttivi dalle razzie naziste e dai bom-bardamenti alleati, nell’im-pegnare e distogliere forze tedesche dal fronte della linea Gotica dove l’avan-zata alleata andava a rilento e sabotare i rifornimenti e la logistica tedesca. Sul fronte del Cansiglio già nell’agosto del 1944, i tedeschi dovettero impiegare fino a 14.000 uomini delle truppe motorizzate, corazzate e di fanteria ovviamente distolte dagli altri fronti.
Per far meglio comprendere il senso di queste affermazioni voglio raccontare, agli studenti qui convenuti, alcuni episodi della resistenza cadorina per stigmatizzare come la macro storia che si studia sui libri di scuola sia anche costruita con le diverse microstorie delle popolazioni coinvolte sebbene non riportate, talora ignorate o peggio dimenticate.
Tralascio i numerosi fatti d’armi e le loro conseguenze che hanno caratterizzato lo scontro con i tedeschi e mi soffermo sui seguenti episodi che mi appaiono significativi nella costruzione della macrostoria e preziosi per l’identità locale.
Tre giorni dopo la morte di “Garbin” i partigiani sabotarono il ponte sul torrente Molinà a Calalzo di Cadore senza danneggiare la vicinissima chiesa gotica della Madonna della Pace; diversamente il 13 marzo del 1945 un bombardamento alleato sulla stazione di Calalzo produsse ingenti danni al materiale rotabile e distrusse l’intero edificio. Precedentemente piccoli sabotaggi dei partigiani avevano sortito ugualmente l’effetto di non far viaggiare i treni senza però distruggere quelle infrastrutture che a fine guerra è toccato allo stato italiano e a proprie spese ripristinare.
Il 2 maggio 1945 uomini della “Calvi” liberarono al lago di Braies 136 prigionieri “speciali” di Himmler, imboscati quale merce di scambio e di salvacondotto personale. Tra essi c’erano: Leon Blumm, Peter Churchill, l’ex Cancelleiere au-striaco K.E. Schuschnigg, Mario Badoglio, Sante Garibaldi e il tenente Kokorin, nipote di Molotov. Due giorni dopo gli stessi a Dobbiaco salvarono 10.000 volumi e preziose attrezzature dell’Istituto Geografico Militare di Firenze trafugate dai nazisti per essere portate in Germania e successivamente custodite in 300 casse a Tai sotto la tutela della Magnifica Comunità di Cadore. Il giorno seguente a Campo Tures recuperarono opere d’arte della Galleria degli Uffizi, anch’esse predisposte per il trasferimento in Germania.
A pace firmata gli uomini della “Calvi” rimasero operativi con compiti di polizia in sintonia con il Governo Militare Alleato e poi il 9 giugno, ultimi in Veneto, smobilitarono e consegnarono le armi.
Il Sandro che qui oggi ricordiamo è stato uno di questi; assieme a Lui tanti patrioti e alcuni eroi “Garbin” è uno di questi ultimi! In Cadore conserviamo la bandiera storica del “Battaglione Cadore” che oggi abbiamo portato qui a Venezia per dare un contributo alla ufficialità di questa importante e commovente cerimonia e per la riconoscenza che dobbiamo a chi ha combattuto e dato al vita per lasciarci un’Italia repubblicana e democratica che ci ha garantito, nonostante le difficoltà e i momenti oscuri settant’anni di pace e rispetto internazionale. Questo rispetto ce lo siamo conquistati passo dopo passo negli anni del dopoguerra, ma non dimentichiamo che trae origine dall’azione dei ribelli partigiani e degli antifascisti che con il loro agire ci hanno consentito e ci consentono oggi, di sostenere dignitosamente il confronto con tutti quei popoli ai quali il regime fascista aveva arrecato lutti, danni, violenza e soprusi con le guerre d’invasione, con le deportazioni e le persecuzioni che hanno caratterizzato il ventennio.
Per confermare la nostra riconoscenza, dobbiamo allora, finita questa cerimonia rimanere vigili e partecipi della vita democratica di questo paese, onorare e difendere la nostra Costituzione in-sistendo per la sua com-pleta attuazione e per mantenerne inalterati i principi fondanti che la rendono tra le più avanzate al mondo. Non c’è che da scegliere! Vogliamo comin-ciare dal primo articolo che parla di lavoro ma che non è una garanzia ne pre-sente ne futura per Voi giovani?
Dobbiamo, nel ricordo di questi martiri, continuare a percorrere la strada in-dicata dalla Loro ribellione attualizzandola alle problematiche di oggi per continuare ad avere una Patria democratica e libera non tralasciando nel contempo, di essere orgogliosi e fieri dei progressi di questi ultimi settant’anni.
Grazie.