Prima di entrare nelle considerazioni sui singoli temi, la Sezione “Sette Martiri” di Venezia vuole manifestare solidarietà a Carlo Smuraglia per l’aggressione a mezzo stampa subita da quello che fu l’organo del Partito comunista e che ha subito una tale metamorfosi da rendere difficile a chi si sente in continuità col pensiero di Antonio Gramsci, identificarsi nelle posizioni espresse da Fabrizio Rondolino nel numero del 1 aprile. La solidarietà è tanto più attinente in quanto a pag. 19 del documento nazionale il Presidente scrive : Serve un’informazione corretta e completa.
E possiamo aggiungere: libera e non condizionabile tanto dai finanziamenti quanto dagli orientamenti del governo. Questo episodio serve peraltro ad introdurre il tema dell’indipendenza politica dell’ANPI. Il fatto di essere un’associazione apartitica deve poter significare essere soggetto politico indipendente dai partiti: non essere vincolati, nelle denunce e nelle prese di posizioni, da storie personali, conformismo verso le linee delle formazioni di riferimento, o verso il governo.
La voce dei protagonisti della lotta di liberazione che stanno progressivamente passando il testimone, deve diventare la voce dell’Anpi, la voce della Costituzione che è l’eredità del cui uso dobbiamo rendere conto.
La lotta partigiana era una lotta politica, prima che militare; allo stesso modo l’Anpi si realizza legittimamente in una lotta politica fatta sì di vigilanza e di critica, ma anche e dovutamente, di azioni, richiami, proposte e iniziative politiche vere e proprie.
Nell’analisi della stretta attualità, è guidata dalla stessa rigorosa coerenza e dallo stesso spirito critico ed illuminato che guidava la Resistenza; tanto più che si ha il vantaggio di non operare nella clandestinità e nell’illegalità, anzi con il riferimento ad una Costituzione, sui cui dettami poggiare la forza delle rivendicazioni.
E utile e necessario interrogarsi sempre più francamente su quello che deve significare Resistenza oggi. Incoraggiare e non censurare confronti con la realtà politico-sociale di oggi.
In questo modo ci si può proporre come interlocutore certo e saldo per quanti perseguono l’obiettivo di riportare la gestione della nostra società ai dettati propri della nostra Carta Costituzionale non accettando che essa sia sempre più soggetta ad indirizzi sovranazionali ed a strategie sovra-statali in cui gli interessi delle finanziarie multinazionali prevaricano la forza dei diritti umani e sociali, universalmente riconosciuti.
Farsi continuatori della lotta partigiana significa essere innanzi tutto sentinelle della Costituzione.
La Resistenza è tradita ogni volta che la Costituzione non solo non viene sviluppata ed attuata, ma addirittura capovolta; e lungo sarebbe l’elenco degli articoli disapplicati.
A contrastare questa tendenza dobbiamo richiamare i nostri iscritti presenti nelle istituzioni, ricordando loro quest’impegno statutario.
L’affermarsi nella prassi della cosiddetta costituzione materiale giustifica l’intransigenza, anche quando questa viene presentata come conservatorismo e legittima questa forma di resistenza odierna che vuole organizzare la riuscita del referendum per il NO alle modifiche della Costituzione e alla legge elettorale “Italicum”.
Noi condividiamo in pieno il richiamo della presidenza nazionale fatta a tutti gli iscritti alla coerenza con le linee deliberative del Comitato nazionale che pone quindi la questione dell’identificazione dell’iscritto nello statuto con le sue finalità, indipendentemente dalle linee politiche dei partiti di appartenenza.
Quanto all’altra funzione statutaria, l’opposizione al fascismo mai scomparso, riprendendo le parole del Presidente Smuraglia : “Un Paese che ha subìto più di vent’anni di dittatura, con tutto quel che segue, dovrebbe essere profondamente antifascista. l’Italia non ha ancora fatto fino in fondo i conti col fascismo”, viene da dire che, al contrario, sempre di più si afferma il revisionismo e la volontà di riabilitazione, da contrastare anche con l’argomento che, chi si dichiara fascista, non può dirsi al contempo cittadino di una Repubblica nata per ripudiare i fondamenti del fascismo.
Pensiamo soltanto a quello che sta diventando il giorno del ricordo con i racconti sulle foibe che diventano occasione per revanscismo nostalgie riabilitazione rilegittimazione soprattutto dopo il rinfocolarsi di polemiche innescate da dichiarazioni dell’ANVGD sostenute anche da sindaci a Torino o a Gorizia. ( Allegato 3 e allegato 4)
Oltre alla vigilanza sulle espressioni più vistose della propaganda del fascismo, è sempre più urgente richiamare i nostri rappresentanti nelle istituzioni, più sensibili a queste impostazioni o che addirittura condividono le finalità dell’ANPI facendosene soci, ad iniziative parlamentari per difendere l’ordinamento repubblicano dal ricomporsi di fronti strutturati della destra fascista. Perciò apprezziamo il documento presentato al capo dello Stato dal presidente Smuraglia e dalla sen. Soliani.
Ma ancor più decisiva e responsabile deve essere la segnalazione delle forme nascoste e progressive in cui si propone e si realizza la restaurazione di quei principi di governo verticistico e autocratico che la nascita della repubblica democratica ha inteso rinnegare una volta per tutte.
Per inquadrare le posizioni dell’Anpi nel contesto ampio della contemporaneità, non si può non riferirsi alle suggestioni rivolte alla politica da parte della grande finanza.
L’invito a cambiare costituzioni presentate come bisognose di modifiche ed ammodernamenti è fortemente interessato. La stagione dei diritti che pareva finalmente avviata 25 anni dopo la nascita della repubblica, viene rappresentata soprattutto come un’epoca di destabilizzazione democratica delegittimando nel sentire comune la grande spinta popolare che finalmente vedeva considerate le proprie istanze. Gli scandali pressoché quotidiani (e quindi anche i recentissimi), dimostrano quella subalternità della politica alle richieste del mondo finanziario denunciato dal nostro Presidente. Una finanza che non si accontenta di comprimere i diritti dei veri portatori di interesse dei territori che sono i cittadini, ma che vuole avere più libertà suggerendo ed imponendo le modifiche della costituzione in tutti i passaggi cosi ben descritti nel documento nazionale.
Tra gli altri compiti prioritari della nostra associazione deve esserci il sostegno alla definizione dei diritti non negoziabili: primo di tutti la salute, diritto fondamentale che non può essere trascurato a favore di altri diritti.
E poi il lavoro che deve tornare ad essere inteso primariamente come diritto e non come grazia fornita dall’imprenditore proposto come il benefattore che elargisce la salvezza dalla fame e pertanto arriva a detenere diritto di vita e di morte sul lavoratore, che è invece è l’artefice primo delle sue fortune economiche.
In questo stato di debolezza e subalternità ai poteri del denaro, c’è sempre meno spazio per “porre con forza la “questione morale”, come una tra le più fondamentali e imprescindibili”. (ibid.)
La questione morale che è sempre più evidentemente subalterna alla questione dell’opportunità politica di alleanze e consorziamenti. Molti casi recenti in cui gli interessi di grosse compagnie fanno pressione sugli amministratori, fanno sì che gli interessi dei cittadini, per quanto riproposti dalle loro associazioni, non vengano tenuti in conto. Quindi piuttosto che colpire gli abusi di un’economia sulla cui effettiva costituzionalità dovremmo interrogarci ed aprire dibattiti (v. articolo 41), si propone il ricatto della perdita di posti di lavoro.
Bisogna uscire dalla trappola ricattatoria del posto di lavoro richiamandosi all’articolo 41 e 42 e 43. A queste connivenze si collega il problema di definire l’antipolitica.
Dal punto di vista di chi ha condiviso le linee di pensiero che sottendono le prescrizioni della Costituzione, che cos’è l’antipolitica se non fare il contrario di quello che questa prevede?
Seguendo la Costituzione che incoraggia la partecipazione, i cittadini si coordinano in iniziative di base che, puntualmente, vengono ignorate in quanto numericamente minoritarie rispetto alle dimensioni delle masse elettorali.
E quando vorrebbero usare lo strumento del referendum che consente grandi numeri, questo viene sabotato prima evitando l’abbinamento con le votazioni amministrative e poi con l’invito a ad astenersene per impedire i grandi numeri.
Riassumendo, quindi, la Costituzione prevede la partecipazione e, al contrario, si fa di tutto per frustrarla.
Allora chi è responsabile della disaffezione, della sfiducia, dell’astensionismo, se non l’antipolitica delle istituzioni?
Gli eventi di questi giorni ci richiamano alla mente che esistono leggi come la legge 352 del 1970 che recita:
“Il pubblico ufficiale, l’incaricato di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere e funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati od a vincolare i suffragi degli eletti a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o ad indurli all’astensione è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
DIVERSITÀ E DIRITTI CIVILI
La donna, quale prototipo della diversità, trova come interlocutore una cultura retriva e ristretta che, da un lato e a parole, propugna gli apporti dei diversi, purché raccolti in ambiti circoscritti come quelli artistici, dall’altro, in un’economia fondata sul consumo futile e sul superfluo, la risospinge in ruoli marginali nei quali ha enormi difficoltà a far valere le proprie capacità. E dove non ci riesce, finisce per assumere comportamenti che replicano gli stereotipi di genere più arretrati.
Alla fine il rapporto con i diritti delle donne riguarda il riconoscere la profonda differenza che esiste fra uguaglianza ed equità.
La vicenda del riconoscimento delle unioni di fatto che in molti vedono come un passo avanti, in realtà, nel rimarcare spregevolmente la diversità sul tema della fedeltà, ha evidenziato la distanza dei nostri rappresentanti dall’articolo 3. Una rappresentanza che ha dimostrato timidezza in ogni contraddittorio con un’etica religiosa cui esibisce la sua subalternità e supposta minorità, dimenticando che la nostra carta Costituzionale contiene tutte le indicazione per una realizzazione dell’uomo civico, della persona umana, in tutta la sua pienezza.
Una vicenda che ha dimostrato ancora una volta (come spesso anche nelle questioni riguardanti il mondo del lavoro), che, nel pratiche ciniche del potere, i diritti finiscono per essere merce di scambio per la continuità di alleanze contronatura.
I disvalori della passate stagioni berlusconiane mai rinnegati e mai combattuti veramente, si ripropongono nella continuità: si depenalizzano reati fiscali e si approvano procedure di ostacolo ai controlli, si propongono limitazione del diritto di cronaca, si colonizza l’informazione pubblica e si
condiziona la grande stampa; non si parla di mafia se non per propagandarne il volto buono a Porta a Porta e si riforma la Costituzione in senso autocratico con il sostegno di pregiudicati.
Altro settore in crisi è la scuola un’istituzione che dovrebbe costruire il futuro cittadino “attivo”, consapevole e vigile e che invece, è sempre più indirizzata a produrre personale da aziendalizzare e sempre meno polo di riferimento per l’educazione dei giovani (la spesa pubblica scenderà per i prossimi 15 anni, lo dice il Documento di programmazione economica e finanziaria. L’inversione di rotta si avrà tra 20 anni. Secondo l’Istat, l’Italia è il Paese che spende meno in istruzione rispetto agli altri Stati europei membri in rapporto al proprio Pil).
Si realizza così, quella strategia di autoritarismo strisciante che sia avvia col togliere fondi alla scuola pubblica, sempre più priva di mezzi e di spazi adeguati, così’ come già nel 1950 Calamandrei denunciava.
La ricerca ed il sostegno a politiche che perseguano la pace nasce dal dovere di coniugare l’art. 11 con il 4 e con l’articolo 2.
Legata al tema della pace c’è la grande questione accoglienza e solidarietà.
A riguardo voglio ricordare la vicenda di 73 bambini ebrei in fuga che trovarono rifugio a Nonantola in provinca di Modena, un paese intero si fece solidale pur nella coscienza dei rischi e nella paura di ritorsioni, delazioni, costi di una solidarietà coraggiosa; costi che oggi nei confronti di ogni profugo nessuno è disposto ad affrontare a meno che, come in “mafia capitale” la loro accoglienza non possa diventare occasione di affari sconfinati ed indegni.
Il tema dell’accoglienza richiama i fallimenti dell’Europa: un’Europa nata per realizzare una democrazia che governa i beni comuni e che fatica sempre più ad opporsi al risorgere di un imperialismo predatorio.
Se non si tiene ben presente questa deviazione, non si capiscono le connessioni tra le sue politiche i flussi migratori e gli estremismi fanatici e l’insieme di interrogativi che in forme differenti questi ci propongono.
Un’Europa che in questa veste, non riesce ad essere il riferimento per le rivendicazioni dei diritti umani soprattutto in medio oriente, che fallisce nel perseguimento della pace, perché anche questa, alla fine, è un ostacolo ai guadagni scandalosamente spropositati del grande capitale sovranazionale.
I fattori di rischio principali sono infatti, le grandi disuguaglianze economiche che è ipocrita proporre di risolvere imprenditorialmente, atteso che l’imprenditoria non può e non deve essere il surrogato delle iniziative politiche dei governi e delle politiche di solidarietà; atteso che anche i grandi piani di salvezza e di solidarietà si realizzano con apporti imprenditoriali che alla fine perpetuano le minorità e quindi le subalternità economiche delle società che si vorrebbe aiutare rendendole autonome.
La soluzione che dovremmo auspicare richiede coraggiose posizioni contro lo sfruttamento del terzo mondo.
Problematiche riguardanti giustizia e criminalità organizzata che è criminalità di sistema.
Un sistema funzionale alla gestione del potere che spesso è solo apparentemente istituzionale, mentre nel profondo è intrecciato ed intercambiabile con quello criminale.
Si è istituzionalizzata la criminalità organizzata.
“Mafia Capitale”. dimostra come la connessione tra politica e reali proprietari dei territori e di masse di elettori sia strettissima e reciprocamente incoraggiata.
Se consideriamo quanta difficoltà si fa a tutti i livelli a riconoscere l’anomalia di un parlamento in cui non “eccezioni”, ma quasi il 10 % dei rappresentanti ha problemi giudiziari, vediamo quanto anche in questo campo si sostituiscono prassi e consuetudini di comodo alle prescrizioni della Costituzione (penso all’articolo 54) con lo strumentale e distorto richiamo al “garantismo” che quell’articolo sabota. Sabotato anche con le negazioni agli arresti intervenendo indebitamente nel merito delle accuse laddove l’unica verifica che al potere legislativo spetta è la verifica di un eventuale “fumus persecutionis”.
Una confusione di comodo tra reato e comportamento improprio.
Ma l’evidenza di fatti che minano la fiducia o l’affidabilità o la reputazione di un rappresentante nelle istituzioni, non ha nulla a che fare con l’accertamento, fino al terzo grado di giudizio, del configurarsi di un reato.
Il Presidente Smuraglia fa ancora riferimento ad un clima berlusconiano che ha inciso profondamente nella mentalità e nel rispetto fra istituzioni e e poteri indipendenti.
Purtroppo le conseguenze della continuità si vedono anche negli attacchi ai magistrati che, rivendicando il loro essere soggetti soltanto alla legge, si avvicinano ai comportamenti impropri dei politici.
Dobbiamo dire che proprio a quei magistrati che con sacrificio, coltivano l’indipendenza, spesso da parte delle istituzioni arriva solo disinteresse, silenzio o addirittura ostracismo. Penso a magistrati come Antonino Di Matteo, e al conflitto di attribuzione sollevato nei suoi confronti.
Un magistrato che pur condannato a morte dalla mafia con il tritolo già pronto, continua scrupolosamente e coraggiosamente il suo lavoro difficile contro una mafia che sempre più scopertamente si fa rappresentanza politica.
Un lavoro difficile sostenuto solo da tantissimi cittadini che, con le loro iniziative, gli hanno ottenuto il riconoscimento della cittadinanza onoraria di Milano di qualche giorno fa, dopo quella di Torino, Napoli, Bologna, Palermo, Messina, Modena e tante altre.
Nel silenzio dei media.
Cittadini che con le loro iniziative spesso riscattano le istituzioni e la politica e che in tante occasioni sono ripagati con il disconoscimento o con le cariche delle forze dell’ordine. Cittadini che spesso danno, dei doveri civici, esempi spesso più significativi di tanti rappresentanti delle istituzioni che, anche nelle pratiche più ordinarie e più doverose come quella del testimoniare, non sono modelli di spirito di uguaglianza ma di attaccamento a privilegi di ruolo, spesso autoritariamente imposti.
Questi cittadini attivi, consapevoli, responsabili sono e devono essere la componente costitutiva della nostra associazione e dimostrare che l’appartenenza all’ANPI, certificata dalla tessera, deve essere sentita, non come mera contribuzione pecuniaria, ma come un impegno nei confronti dei partigiani fondatori a rendicontare l’uso quotidiano di quel patrimonio ereditato.
Gianluigi Placella, Presidente ANPI 7 Martiri di Venezia