A conclusione dell’incontro pubblico del Coordinamento Democrazia Costituzionale con la cittadinanza veneziana il 23 maggio 2016 presso il Liceo Artistico M.Guggenheim ai Carmini a cui hanno partecipato – insieme all’Anpi di Venezia, il Comitato per il No e il Comitato Contro l’Italicum – il senatore Felice Casson, il giudice di Cassazione Domenico Gallo, Luca Trevisan, segretario FIOM Veneto e Silvia Manderino del Comitato per l’abrogazione dell’Italicum, pubblichiamo l’intervento del nostro Presidente Gianluigi Placella:
Buona sera a tutti
Ringrazio gli organizzatori per avermi invitato.
Intervengo come rappresentante della Sezione di Venezia dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Vedo che in questa sala a fianco di quelli del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale non ci sono altri simboli se non quelli dell’Anpi.
Molti si sono domandati e si domandano il perché, vedendo forse, questa, come una discriminazione nei confronti degli altri sostenitori.
La spiegazione sta nella storia dell’Anpi e nel suo statuto. Nella storia in quanto raccoglie e rappresenta i Partigiani, protagonisti della lotta di liberazione che sono poi diventati i fondatori della Repubblica ed i Padri della Costituzione.
L’altra ragione è che l’Associazione è apartitica, nel senso che accoglie, senza discriminazione, tutti i cittadini antifascisti, disposti a sottoscrivere ed a mettere in pratica l’articolo 2 dello statuto che dispone di “concorrere alla piena attuazione, nelle leggi e nel costume, della Costituzione italiana, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli”.
Ciò, dà all’Anpi una terzietà che le consente di prendere posizione politica senza sentirsi vincolata al governo di turno, ma solo a favore degli interessi comuni iscritti nella Carta e la legittima a sostenere un ruolo di primo piano in questa campagna referendaria, così come riconosciuto dagli stessi promotori del comitato.
Una legittimità che sembrava ammessa anche dalle più alte istituzione dello Stato che, il 15 aprile dello scorso anno, 70° della Liberazione, in parlamento, accolsero tra gli applausi, una folta rappresentanza di Partigiani, tra cui il loro presidente, con le parole del presidente della Camera: “Oggi voi partigiani siete qui non come ospiti, ma come padroni di casa”.
La prova che la gratitudine e i riconoscimenti del loro ruolo non era retorica di circostanza, sarebbe stata semplice ed incontestabile. Bastava interpellare l’Anpi che quei “padroni di casa” rappresenta, prima di manomettere il loro capolavoro e contraddire la ragione della loro vita e della loro ostinazione a testimoniare.
Invece si è ignorato questo passaggio quand’anche solo formale, benché si conoscessero le perplessità, le preoccupazioni, le critiche di merito e le contrarietà che l’associazione manifestava nel corso dell’iter parlamentare della legge di modifica della Costituzione.
In aggiunta a queste dimenticanze, abbiamo rilevato non solo un silenzio che sa di assenso nei confronti di volgari offese ed attacchi al presidente dei Partigiani, ma perfino accostamenti blasfemi ai fascisti di Casa Pound.
Allo stesso tempo, si è notato un singolare atteggiamento dei media che hanno completamente ignorato le conclusioni del congresso Nazionale dell’Anpi, del 15 maggio in cui, democraticamente, i 347 delegati, all’unanimità e con solo 3 astensioni hanno riconfermato il Presidente uscente e la sua relazione.
Quegli stessi media invece, si sono prodigati ad ingigantire episodi minimali di dissenso, dando risalto a chi sostiene che l’Anpi non deve schierarsi in queste questioni, non ricordando, come fa il invece il Presidente Smuraglia che “nessuno pensò che l’Anpi si trasformasse in partito quando scese in campo contro la “legge truffa”, nel 1953, o quando fece altrettanto contro il Governo di Tambroni, appoggiato dai fascisti, nel 1960”.
Il governo invece ha richiamato gli iscritti all’Anpi alla disciplina di partito anteponendo le sue strategie contingenti al sentire alto dei Grandi Padri della Patria che ha permeato i lavori dell’assemblea costituente.
Noi, all’opposto, crediamo che, se la nostra è una democrazia costituzionale, tutto quello che viene fatto in contrasto con la Costituzione, non può avere nessuna giustificazione, che sia la semplificazione, la stabilità, il risparmio di spesa o anche il più banale scossone all’immobilismo (ammesso che le modifiche costituzionali, nei fatti, assicurino tutto ciò).
Per questo e per l’impegno statutario, anche la sezione Anpi Sette Martiri di Venezia, nel suo congresso, ha approvato, con le stesse percentuali di favorevoli, la relazione della presidente uscente Lia Finzi che faceva sua la linea del Comitato nazionale e condiviso le preoccupazioni di tanti sulla combinazione tra legge elettorale Italicum e legge di revisione costituzionale che, alterando il sistema di pesi e contrappesi previsti dalla Carta del 1948, produce una pericolosa limitazione della democrazia.
Una limitazione particolarmente rischiosa soprattutto in questi momenti in cui risorgono nell’indifferenza o nel muto consenso, le destre razziste e violente che si fanno nuovamente istituzione, come vediamo anche nel nostro comune in cui, per ignoranza, superficialità, incoerenza con le dichiarazioni di devozione alla Costituzione, viene concessa la piazza Erminio Ferretto intitolata ad una vittima della ferocia fascista, a formazioni che si ricollegano a quelle stesse ideologie, inconciliabili con i fondamenti la nostra Repubblica.
Confronto aperto, quindi, sulle ragioni di merito, senza farci deviare su questioni di schieramenti.
Sulla base di queste considerazioni dal 9 aprile, data di apertura della campagna, siamo stati in prima linea nel sostegno al comitato referendario, sia nel tenere banchetti per la raccolta firme, sia nel supportare iniziative che dessero risalto alla nostra contrarietà a queste leggi.
Sulle ragioni tecniche e giuridiche, che peraltro condividiamo, riguardanti la pericolosità del loro abbinamento, si addentreranno gli specialisti.
Noi rileviamo che un parlamento illegittimo, se non altro sul piano politico, avrebbe dovuto prendere atto della sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2014 che dichiarava incostituzionali il premio di maggioranza e le liste bloccate e suggeriva una diversa legge elettorale che portasse, a breve, a nuove elezioni, con l’implicito monito ad occuparsi unicamente di ordinaria amministrazione.
Invece la maggioranza, pur frutto di un sistema maggioritario che nei presupposti vantati dovrebbe assicurare la stabilità, ha scelto di rimescolarsi con alchimie innaturali e contrarie al voto espresso dagli elettori, pur di mettere mano allo stravolgimento di più di un terzo dell’intera Carta, con la giustificazione di sicuro effetto sulle masse, di portare il paese fuori dalla palude dell’immobilismo e dell’arretratezza economica.
Se si deve modificare una legge fondamentale, cosa che l’Anpi non rifiuta di concepire, ciò andrebbe fatto con il massimo consenso parlamentare, ma soprattutto spogliandosi delle vesti di rappresentante di governo ed assumendo, chi ai sensi dell’articolo 54 ha dignità per farlo, quelle ben più impegnative di Costituente.
Abbiamo visto invece come andata: un governo definitosi costituente che promuove e costringe verso una revisione della Costituzione e che nei fatti, con la torsione plebiscitaria, anche sulla legge più alta, pone la questione di fiducia, chiedendo che si voti per il Sì, pena le sue dimissioni.
Aspettiamoci perciò una campagna fatta di annunci spettacolari, in cui l’opposizione per quanto argomentata, verrà rappresentata come sabbia negli ingranaggi di una macchina finalmente liberata dalla ruggine di una Costituzione arretrata e fuori dal tempo.
Un argomento, questo, che sarà il leitmotiv della propaganda del Sì.
Noi invece vogliamo restare sulla sostanza e ribadire la contrarietà a queste leggi la cui combinazione crea una miscela esplosiva per la democrazia costituzionale fino ad oggi così ben protetta da una Carta preveggente.
L’Anpi continua a credere che tutto il potenziale rivoluzionario della “grande incompiuta” come già nel 1950 Piero Calamandrei definiva la nostra Carta, non solo non si sia mai espresso, ma sia stato continuamente represso.
Sul suo destino, quindi, è nostro dovere vigilare; soprattutto quando un ex presidente della Repubblica, appena ieri spingeva per il Sì affermando che: “In caso di vittoria del No il governo sarebbe in estrema difficoltà”.
Tradotto: cambiare la Costituzione è necessario affinché il governo non patisca conseguenze.
Se poi a patire conseguenze è la democrazia, questo, evidentemente, è secondario.
Quindi, è la Costituzione che deve piegarsi al governo e non il governo alla Costituzione.
Parole di chi, per ruolo, doveva esserne il massimo garante.
Dopo di ciò, è molto più chiaro quali sono le priorità di chi sostiene il Sì.
Noi, invece, non vogliamo tradire la Costituzione che, come ci ricorda ancora Calamandrei, è nata “nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati”.
Anche per questo e soprattutto per questo, noi, a sfiduciare la Costituzione, non ci stiamo e continueremo convinti e determinati questa partita.
Gianluigi Placella, Presidente dell’ANPI 7 Martiri di Venezia