Oggi dobbiamo assistere all’indebolimento complessivo dei consultori familiari, servizi istituiti nel nostro Paese a metà degli anni ’70 (legge 29 luglio 1975 n. 405). Qui a Venezia ebbero 40 anni di successi, aspettando però nel tempo un necessario rilancio. Nacquero allora per volontà dell’amministrazione comunale sulla spinta dei movimenti femminili e femministi, arrivando persino all’elezione dei comitati di partecipazione dei consultori con elezioni nei Consigli di Quartiere.
Tanti sono i successi che si potrebbero elencare; solo per indicarne alcuni: i “Consultori giovani” per gli adolescenti con la presenza di psicopedagogisti, una rete capillare di interventi nelle scuole, una rete di educazione alla vita sessuale ed affettiva, la presenza di medici ospedalieri che accettavano di operare anche nei consultori per garantire alle gestanti di avere le stesse persone durante la gravidanza e poi in ospedale per il parto, realizzando così una continuità, il lavoro di equipe formate dal psicologi, assistenti sociali, operatori sociosanitari.
I consultori si sono presentati subito con tre grandi novità: servizio capace di integrare temi sanitari e temi sociali, evoluzione della cultura sanitaria in contrapposizione a quella medica tradizionale, punto di riferimento di più soggetti: famiglia, coppie, minorenni, emigrati.
Però a distanza di 40 anni la realtà dei servizi è cambiata, come si può verificare nella città: quanto era percepito negli anni ’70 rischia di perdere oggi il carattere peculiare di intervento socio-sanitario e di essere, questi servizi, omologati alle tradizionali strutture di specialistica ambulatoriale, se non, addirittura, trasformati in agenzie ideologiche per aggredire la legge 194.
Vuole questo la ministra Lorenzin?
Questa analisi mette in evidenza quanto i consultori sono stati fondamentali per la promozione di una cultura laica sui problemi delle donne e delle coppie e quindi per l’emergenza di temi quali il controllo della fertilità, le pari opportunità, la maternità libera e consapevole, la contraccezione, l’aborto.
Scrive Chiara Saraceno su La Repubblica del 23 febbraio: “È positivo che un grande ospedale pubblico di Roma si sia preoccupato di garantire che la possibilità di interrompere la gravidanza, sancita dalla legge, trovi le condizioni per essere completamente applicata tramite l’assunzione di 2 ginecologi da destinare specificamente a questo. La legge 194 è stata sistematicamente svuotata dall’obiezione di coscienza, utilizzata in massa da ginecologi non sempre per motivi ideali, ma di convenienza professionale. Sono stati così lesi i diritti delle donne”.
Va detto inoltre che è aumentato il pericolo del ricorso all’aborto clandestino anche per le lunghe liste d’attesa che fanno superare i tempi consentiti.
Il punto problematico che vi è nell’iniziativa dell’Ospedale San Camillo di Roma è questo: quale prospettiva di sviluppo professionale avranno i due medici assunti solo per l’interruzione volontaria di gravidanza? Verranno considerati ginecologi di serie B, se saranno sempre e solo destinati ad una sorta di ghetto professionale ed esclusi dai servizi più gratificanti come il parto ed il monitoraggio della gravidanza?
Condividiamo queste preoccupazioni della Saraceno anche perché il fenomeno si può allargare a macchia d’olio.
Questo metodo di bandire concorsi ad hoc è presente già nell’ASL 18 di Rovigo: dopo il no di due obiettori, si assume un biologo non obiettore solo per seguire le fecondazioni artificiali.
Ci auguriamo che il diritto della donne diventi veramente un obbligo di legge, checché ne dica la ministra Lorenzin, con tutte le attenzioni ed il rispetto per la vita riproduttiva delle donne, inclusa l’IVG alla quale ricorrono con dolore e con pesantezza d’animo. Chi lavora o ha lavorato nei consultori familiari ha vissuto ed affrontato le esperienze tragiche di queste donne, spesso vittime di violenze e stupri, che devono trovare il sostegno di operatori professionalmente qualificati e non frustrati e relegati a lavori ripetitivi e deprimenti, che devono essere assunti con concorsi che tengano conto di tutte le competenze necessarie per tutte le prestazioni previste dalla legge.
Lia Finzi, Presidente onoraria Sezione Anpi “Sette Martiri” di Venezia, già assessora alla Sicurezza sociale del Comune