Orazione ufficiale in Campo del Ghetto per il 25 Aprile 2018

Anche quest’anno abbiamo concluso in questo spazio simbolico il nostro percorso.
Un percorso scandito da soste in cui abbiamo ricordato a noi stessi quanto dobbiamo a chi è caduto nella lotta di Liberazione. Al loro ricordo aggiungo quello dei Partigiani che quest’anno ci hanno lasciato: Adriana Martignoni, Alberto Ongaro, Miro Carlon.
In questo luogo è arrivato il nostro corteo a dire che tutto quello per cui  i Partigiani hanno combattuto è stato scritto nella nostra Costituzione, che è il risultato della vittoria della solidarietà tenace sul terreno di battaglia e della vittoria di tante diversità, nei lavori della Costituente dell’Italia democratica.
Fascismo, antifascismo, inclusione, solidarietà, pace sono parole che non dobbiamo temere di pronunciare soprattutto oggi cercando, nel dirle, di eliminare ogni retorica, ma evidenziare la loro attualità.

A ottanta anni di distanza dall’emanazione di quella negazione della civiltà che furono le leggi razziste del 1938, il contesto storico fatto di guerre di imperialismo economico, terrorismo, austerità, globalizzazione, migrazioni e paure indotte, pur se non sovrapponibile, produce le stesse tentazioni e fascinazioni: lo stesso richiamo alla difesa dei confini dall’invasione dei profughi; l’amplificazione della percezione di insicurezza giustifica l’odio contro le diversità, del colore della pelle o di idee, incoraggia le barriere, i muri, i respingimenti come alibi verso la difesa dei propri interessi. Nei razzismi di oggi, l’arrivo di fuggitivi, esiliati, diseredati piuttosto che metterci di fronte ad una delle tante disapplicazioni della nostra Costituzione, diventa incitazione all’antagonismo. Perché siamo invischiati in una società che predica, programma e realizza un antagonismo in cui ognuno diventa un mezzo per isolare, per frantumare il sentire solidale e comunitario; una società specchio di un’economia che vuole l’uno contrapposto all’altro, visto come un avversario e un concorrente verso il quale abolire ogni premura.

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Siamo in questo Campo e le pietre d’inciampo ci ricordano come la ferocia insensata del fascismo cercò i “diversi”, casa per casa non risparmiando il cuore del Ghetto e la casa di riposo dove anziani, malati e disabili furono sequestrati e inviati allo sterminio. Molte furono le delazione, ma di quelle responsabilità ancora in tanta parte della memoria italiana restano colpevoli vuoti. Ma più che le delazioni e l’obbedienza cieca a leggi inumane, fu la diffusa posizione di indifferenza, di auto-assoluzione, il sentirsi svogliatamente impotenti e perciò inerti nel mettere in dubbio le versioni ufficiali, l’acquietamento di sentire l’egoismo ed il disprezzo dell’altro, come un diritto o addirittura come un cemento dello spirito patrio.

Siamo in questo luogo simbolo della discriminazione, un luogo dove antifascismo, inclusione e solidarietà si incontrano nel nome della libertà di idee, di cultura, di sentire religioso; un luogo incompatibile con chi discrimina e preclude. Un luogo che, nella storia di segregazione e aggregazione della comunità che lo abita, ci ricorda come questa sia diventata ricchezza e trama della cultura della città, a dimostrazione che è la diversità il motore della civiltà e banco di prova dell’uguaglianza.
Questo luogo insegna che l’altruismo deve tornare ad informare le nostre leggi.
Che il rispetto della legge non esime dalla critica e che esistono leggi buone o cattive a seconda che corrispondano o no alle indicazioni della Costituzione.

Chi è in questo campo sta dicendo che ripudia il fascismo: quello combattuto dalle formazioni della Resistenza e quello presente oggi nelle istituzioni e negli Stati.
Come la Costituzione che ne è in ogni punto il perfetto contrario è nata dalla collaborazioni di forze e di istanze diverse tenute insieme dal sentire democratico e dalla chiusura ad ogni rinascita delle vessazioni sperimentate nel regime, così l’antifascismo di oggi deve essere unitario per resistere alle suggestioni e alle minimizzazioni interessate che, per i numeri modesti raccolti da formazioni apertamente fasciste, vorranno disconoscerne il valore con l’argomentazione strumentale che “non esiste più il fascismo “ che invece si è istituzionalizzato in altre forme.
A maggior ragione in questo momento in cui i riferimenti tradizionali nelle istituzioni si sono indeboliti dobbiamo cercare coordinamento con le forze più vive della società, con i giovani, con gli studenti, anche loro sviati da una scuola che viene costretta ad abdicare al suo ruolo di formare coscienze civiche in armonia con la collettività, per produrre soggetti da aziendalizzare, in una spersonalizzazione funzionale al sistema economico.  Con loro dobbiamo imparare a sintonizzarci con l’ascolto attento delle loro priorità.

Il nostro antifascismo, al contempo dobbiamo rappresentarlo, oltre che come opposizione e conoscenza critica della storia, come il filo conduttore della nostra Costituzione; che non esisterebbe senza di quello.
Ogni volta che ci rifacciamo alla Costituzione, stiamo dicendo che siamo antifascisti, un atteggiamento  che quindi, prima di essere una negazione, è l’identità di noi cittadini di questa Repubblica creata sulla Resistenza.

Ma questo Campo ci ammonisce soprattutto a non  restare indifferenti: alle disuguaglianze ed alle discriminazioni; ma anche alla cultura della guerra contro la quale ci richiama la prescrizione ineludibile dell’articolo 11: “l’Italia ripudia la guerra” e che ci ricorda che le guerre sono sopraffazione e non mezzo di composizione dei contrasti.

Questo luogo ci invita a non restare indifferenti alla stessa cultura di solidarietà cui ci richiamano l’articolo 10 che impone di accogliere e dare asilo ai rifugiati e l’articolo 8 che vuole applicata l’uguaglianza ed il rispetto nei confronti di culture e confessioni, le più diverse, che nell’oggi sempre più incrociano il nostro quotidiano.

La suggestione di tutti questi temi ha certamente convinto i promotori della Mostra itinerante da poco inaugurata all’M9 di Mestre, “Il viaggio della Costituzione” che presenta i 12 articoli fondamentali della Carta, a scegliere Venezia, in virtù della sua storia di accogliente multiculturalità, come la più autorevole personificazione dello spirito dell’articolo 8.
Un’investitura che è un riconoscimento e quindi un impegno a battersi per dimostrare di essere la più coerente rappresentazione di quei principi di così alta umanità. 

In questa importante iniziativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri c’è un altro aspetto dalla grande forza educativa: ad ogni visitatore è data la possibilità di apporre sul supporto digitale su cui è trascritta la Carta Costituzionale, la propria firma; questa apparirà, in calce a quella dei tre firmatari della Costituzione all’atto della promulgazione: Enrico De Nicola, Umberto Terracini, Alcide De Gasperi, nella copia che, in questa nuova forma, sarà inviata a tutti i firmatari.

Questa sottoscrizione diventa allora una presa d’atto ed una condivisione non solo dei 12 articoli esposti nella mostra, ma anche di tutti quelli della seconda parte che dai primi discendono e che ad essi sono strettamente intrecciati.
Non solo: firmare la Carta significa anche un impegno per ciascuno, nel proprio quotidiano di semplice lavoratore o di rappresentante delle istituzioni, a conoscerla più a fondo, a riconoscerla nelle leggi che ad essa si ispirano, a vigilare perché queste la rispettino e a sostenerla nella sua ancora molto incompleta attuazione.

Quest’atto di impegno civico mi porta a pensare che questa nostra celebrazione avviene a Venezia in una città che è per tutti sinonimo di cultura della bellezza; una bellezza che la nostra Carta non vuole fine a se stessa, ma occasione di crescita dell’animo e generatrice di cultura; non bellezza esteriore da ostentare e da privatizzare, ma bellezza che attiri lo sguardo oltre le facciate, per diventare invito ad approfondire, a non restare in superficie.
In una società che predica, produce, vende immagini e superficialità e che non vuole l’approfondimento e l’impegno, Venezia con le tante anime dei suoi movimenti civici, può e deve raccogliere questa sfida.

A tutto questo ci richiama il 25 aprile a Venezia che è quindi tante cose: festa della Liberazione, festa della Resistenza, festa dell’antifascismo e della Costituzione, festa dei Partigiani combattenti ma anche dell’unità di sigle e cittadini singoli, festa dell’unità fra diversi.

A questi richiami, aggiungo un’ultima considerazione: in questo giorno in cui   la laicità dell’anniversario della Liberazione convive,  con la ricorrenza del patrono e con la festa popolare del bocolo che ci ricorda il rispetto che dobbiamo a tutte le donne, riconosciamo l’identità di Venezia: repubblicana, inclusiva, unitaria. Un’identità che folclore e anacronismi non possono mettere in discussione.
L’augurio dell’Anpi è che l’impegno all’unità nella Costituzione antifascista di questa mattina, continui con convinzione e coerenza, già da quando ci lasciamo, per questa intera giornata e per tutti i giorni dell’anno.


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Rassegna stampa:La Nuova Venezia 26 aprile 2018

 

Il Gazzettino, 26 aprile 2018
Corriere del Veneto, 26 aprile 2018


 

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