69° ANNIVERSARIO dell’ECCIDIO dei SETTE MARTIRI

3 AGOSTO 2013

 

69° ANNIVERSARIO dell’ECCIDIO dei SETTE MARTIRI

 

Aliprando Armellini 24anni – Vercelli

Gino Conti 46 anni – Cavarzere

Bruno De Gasperi 20 anni – Trento

Alfredo Gelmi 20 anni – Trento

Luciano Gelmi 19 anni – Trento

Girolamo Guasto 25 anni – Agrigento

Alfredo Vivian 36 anni – Venezia

 

Programma:

 

Ore 18.15 concentramento in via Garibaldi c/o la sede dell’Anpi;

Ore 18.30 partenza del corteo per i monumenti alla Partigiana e

Riva dei Sette Martiri;

Ore 19.00 commemorazione ufficiale c/o la lapide dei Martiri.


 

Si ringrazia l’Amministrazione Comunale per la preziosa collaborazione

 

 

 

 

COSA ACCADDE QUELLA MATTINA IN VIA GARIBALDI …

di Leopoldo  Pietragnoli

Si fece festa grande, con abbondanti bevute, la  notte sul 2 agosto 1944, sulle navi della Marina germanica attraccate alla  Riva dell’Impero. Ma quando ci si accorse della sparizione di una sentinella di motovedetta, il Comando germanico non esitò a decidere la rappresaglia,  che si abbatté su sette detenuti politici a Santa Maria Maggiore.

Essi erano: Aliprando Armellini, 24 anni, di  Vercelli, partigiano combattente; Gino Conti, 46 anni, animatore della Resistenza nel Cavarzerano; Bruno De Gasperi, 20 anni, di Trento; i fratelli  Alfredo Gelmi, 20 anni, e Luciano Gelmi, 19 anni, di Trento (i tre giovani trentini erano renitenti alla leva di Salò); Girolamo Guasto, 25 anni, di  Agrigento; Alfredo Vivian, 36 anni, veneziano, operaio alla Breda, comandante militare partigiano nella zona del Piave, l’unico dei sette già  condannato a morte per l’uccisione di un marinaio tedesco a Piazzale Roma il  13 dicembre 1943, e l’unico a essere indicato dal Comando tedesco, mentre  gli altri sei furono segnalati dalla Questura e dal Comando della Guardia  nazionale repubblicana.

L’esecuzione volle essere anche una  plateale “lezione” per gli abitanti di Via Garibaldi, da sempre zona  antifascista. All’alba del 3 agosto pattuglie tedesche perquisirono le case,  rastrellando oltre 500 persone – uomini e donne – che furono allineate lungo  la Via, mani in alto e faccia al muro, e così rimasero per due ore, prima di  essere costrette ad assistere alla fucilazione, dopo la quale 136 uomini  furono condotti in carcere come ostaggi. Alle sei del mattino, i Sette  Martiri, come subito li chiamò la voce di popolo, furono disposti in fila,  legati tra loro con le braccia distese, schiena alla laguna, tra due pali  eretti sulla Riva. Un ufficiale tedesco lesse ad alta voce la sentenza e  ordinò il fuoco al plotone di 24 soldati, davanti alla folla atterrita. Il  cappellano del carcere, don Marcello Dell’Andrea, che aveva accompagnato in  motoscafo i condannati, confessandoli e comunicandoli (soltanto Vivian si  disse “non professante”), tenne alto il Crocefisso; un attimo prima della  scarica dei fucili, Vivian gridò “Viva l’Italia libera” e un altro  condannato implorò “Vendicateci”. Con scope e secchi d’acqua, alcuni bambini  furono costretti dai tedeschi a ripulire la Riva dalle chiazze di sangue.  

Pochi giorni dopo, le acque della laguna restituirono il corpo  della sentinella tedesca. Non aveva ferite: il marinaio era caduto in acqua  ubriaco ed era annegato. Era stata rappresaglia di guerra, e a conflitto  concluso non ci fu processo. Soltanto tre giovani donne, alla cui delazione si doveva la cattura di tre dei Martiri furono condannate nel 1947 a otto  anni di carcere, pena meramente simbolica per la sopravvenuta amnistia, che  rese vano anche il processo contro il brigatista nero che aveva arrestato  Conti.

 

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