Le orazioni per il 25 aprile 2024

L’orazione dello storico ricercatore dell’IVESER,Giulio Bobbo,
alla commemorazione ufficiale in Ghetto a Venezia
per il 79° della LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO

“Oggi festeggiamo il 25 aprile, il settantanovesimo anniversario della Liberazione in Italia, ed incidentalmente celebriamo il 1944, che è stato l’anno cruciale per la Resistenza italiana.

L’anno in cui la Resistenza Italiana così come noi la conosciamo prende forma, e assume quell’identità che le permetterà di combattere nel 1944 e di garantire l’Insurrezione nazionale del 25 aprile 1945 che noi oggi festeggiamo.

Per poter focalizzare le dinamiche di quell’anno in un contesto locale a noi proprio, visto che siamo nel Campo del Ghetto, ho deciso di parlarvi delle vite di tre persone che hanno intrecciato la loro esistenza qui a Venezia.

Il primo si chiamava Francesco Biancotto, era un falegname di 18 anni, e faceva parte di una delle prime formazioni partigiane, guidata da Alfredo Vivian, ed era stato arrestato a San Donà di Piave il 13 gennaio 1944, quasi subito.

Il secondo era uno studente, nato nel 1925 si chiamava Ivone Chinello ed era finito in carcere a Santa Maria Maggiore il 4 aprile 1944, per via di una delazione.

I due si conobbero in carcere e condivisero la cella per un certo periodo.

La terza è una donna, si chiamava Ida D’Este; era nata nel 1917 ed era laureata in lingue straniere, in un periodo in cui non tutti studiavano, men che meno le donne. Viveva ed insegnava a Venezia, e faceva parte del Movimento Popolare (cattolico).

Queste persone avevano qualcosa in comune e anche diversità tra loro. Di diverso avevano l’estrazione sociale e l’ispirazione politica che li portava a combattere in nome dell’Antifascismo.

In comune invece avevano altre cose, tra cui il fatto che tutti e tre, ad un certo punto, hanno vissuto l’esperienza del carcere, o anche peggio, perchè ad un certo punto Ida D’este che si muoveva tra Venezia e Padova, segue il suo maestro Giovanni Ponti, futuro sindaco di Venezia, a Padova, e lì sarà arrestata nel gennaio del 1945 e finirà in un posto non qualsiasi, finirà in mano alla Banda Carità. Penso che più di qualcuno qui ricordi chi era il Maggiore Carità, lui era a capo di un gruppo autonomo di torturatori e sottopose Ida D’Este a diverse forme di umiliazioni e sevizie, in quanto donna ed in quanto antifascista. Poi lei finirà nel campo di concentramento di Bolzano, da cui uscirà viva.

Dopo la guerra scriverà un libro di memorie, intitolato Croce sulla schiena, che è stato ripubblicato poco tempo fa, a cura dell’associazione rEsistenze.

Ecco, io ho scelto queste tre persone un po’ perché erano accomunate dalla loro scelta antifascista, un po’ perché venivano da storie diverse, il che ci aiuta a capire quella che è stata la natura dell’antifascismo nella Resistenza italiana, fatta da persone che hanno scelto di essere partigiani, non erano fanti della Grande Guerra, o soldati della seconda a cui era arrivata a casa una cartolina precetto che li costringeva a fare la guerra pena il carcere.

Sono persone che hanno rischiato, per una loro decisione, andando incontro a privazioni e sofferenze, ed in qualche caso anche a qualcosa di più.

Si trattava per la maggior parte di ragazzi e ragazze giovanissimi, che prendevano ispirazione da maestri più grandi di loro, che avevano fatto a tempo a vivere in un’Italia non democratica, ma liberale. Un’Italia che aveva permesso, ad esempio, a socialisti e cattolici di sedere sui banchi del parlamento. Quello stesso parlamento da cui un signore chiamato Giacomo Matteotti aveva parlato contro il fascismo, e come conseguenza qualche tempo dopo era stato rapito da una squadraccia di assassini fascisti e ucciso letteralmente a botte. Penso sia il caso di citare Matteotti non solo per la sua importanza intrinseca nell’antifascismo italiano ma anche perché – a quanto pare – non tutti sono d’accordo sul fatto di onorare una figura del genere, per cui penso che oggi, il 25 aprile, valga la pena ricordarlo.

Che cos’è successo a queste persone?

Francesco Biancotto è morto… la mattina presto del 28 luglio 1944 viene fatto uscire dalla sua cella insieme ad altri dodici compagni, trasferito alla caserma della Guardia Nazionale Repubblicana di San Zaccaria e lì sottoposto ad un processo farsa, quindi portato sulle rovine di Ca’ Giustian, colpita da una bomba partigiana qualche giorno prima e lì fucilato a diciotto anni.

Alla sua memoria sarà intitolata la principale formazione partigiana, la Brigata Garibaldi “Francesco Biancotto” appunto, così come il Convitto Biancotto che fu meritorio nell’accogliere figli di partigiani morti o comunque in difficoltà nel crescere i propri figli nei tempi duri del dopoguerra, ma sopratutto è vissuto anche nella memoria di un’altra persona, quell’Ivone Chinello che penso ancora molti di noi si ricordano con un altro nome, Cesco.

Chinello decise di darsi come nome di battaglia “Cesco” non a caso, ma proprio perché essendo stato in cella con Francesco Biancotto voleva ricordarsi di lui.

Ida D’este continuerà la sua vita, portando avanti il suo antifascismo, il suo approccio cattolico sociale nella scena politica dell’Italia democratica, e sarà una delle prime donne elette nel parlamento italiano, e come è successo a tante persone che hanno subito la tortura, morirà presto, nel 1976 così come accadde anche il suo maestro, Giovanni Ponti, torturato anche lui dalla Banda Carità e scomparso nel 1961.

Cesco Chinello invece ce lo ricordiamo in tanti perché è stato un militante comunista – perché signori, i comunisti hanno fatto la Resistenza, e l’hanno fatta in tanti, e dobbiamo ricordarci anche di loro, “comunista” non è una brutta parola… [Cesco] è stato un militante comunista e poi è stato anche uno storico. La storia del movimento operaio ma anche dell’Impresa a Porto Marghera esiste proprio perché quest’uomo – con lo stesso rigore che aveva avuto nella sua militanza – ha raccontato la storia delle fabbriche di Porto Marghera.

Lui è stato uno degli ispiratori dell’Istituto Veneziano per la storia della Resistenza, che io rappresento qui oggi, il primo che ci ha supportato nello studiare la storia così come va studiata, cioè con le fonti, indipendenti dalle voci della politica e quant’altro, ma solo con lo studio e l’analisi delle fonti.

Quindi, a queste tre persone che hanno combattuto e pagato il prezzo della loro scelta, io dedico questo discorso.

Viva la Resistenza, buon 25 aprile!

Giulio Bobbo

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L’orazione del Presidente della Municipalità Venezia-Murano-Burano, Marco Borghi,
alla commemorazione ufficiale presso il Monumento alla Partigiana
in Riva dei Partigiani per il 79° della LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO


L’orazione della Presidente dell’ANPI “Sette Martiri”, Enrica Berti,
alla commemorazione ufficiale presso il Monumento alla Partigiana
in Riva dei Partigiani per il 79° della LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO

Buongiorno a tutte e a tutti e grazie di essere qui.

Oggi, al cospetto della Partigiana morente di Murer, vorrei parlare di uomini, in particolare di PADRI. Padri che l’antifascismo ce l’avevano nel DNA, perché l’antifascismo è UMANITÀ, SOLIDARIETÀ, RISPETTO, ATTENZIONE VERSO L’ALTRA O L’ALTRO, PARTECIPAZIONE, FIDUCIA, DIALOGO, GENEROSITÀ… tutte espressioni umane ribadite e tutelate dalla nostra Carta costituzionale antifascista.

Così, in un momento storico in cui siamo convinti che oggi la nostra società sia fondata sul progresso sociale, vorrei parlare di PAPÀ GIOVAN BATTISTA CORNER, nobil uomo del Patriziato della Repubblica Serenissima vissuto nel 1600.

Egli, osservando la piccola LUCREZIA nella sua incredibile curiosità e sete di conoscenza, decise (contro i costumi dell’epoca) di sposarne la madre, Zanetta Boni – di umili origini, per poter dare il proprio cognome alla figlia per la quale – con dedizione e caparbietà – riuscì ad ottenere la discussione di laurea e il conseguente diploma, offrendole il meritato titolo di prima donna laureata al mondo!

In un momento storico in cui l’ART 21 della nostra Costituzione Antifascista viene sempre più disatteso dal governo e da tutti coloro che hanno interesse a nascondere la realtà, ripenso a quale gioia avrà provato PAPÀ GIORGIO ALPI quando anche sua figlia ILARIA si laureò. Quale fu la soddisfazione e la certezza che quella figlia avrebbe dato un contributo concreto e leale al suo Paese. E fu davvero così, ma a discapito della propria vita, per una verità che andava rivelata a tutte le persone oneste che non vogliono distruggere la terra dei Paesi più poveri. Un PAPÀ che lottò 16 anni senza arrendersi mai, piegato alla fine per la ricerca della verità sull’assassinio della figlia e di MIRAN.

In un momento storico in cui il rispetto dei desideri di vita e libertà sta venendo meno, vorrei parlare di PAPÀ BEPPINO ENGLARO che visse un giorno l’improvviso interrompersi dei sogni da studentessa universitaria della figlia ELUANA. Da quel giorno, nel rispetto della legge e della dignità sua e di sua figlia, ha percorso ogni strada civile per ottenere un atto di pietas, un atto di umanità che veniva impedito da meccanismi clinici e giuridici. Per 6233 giorni, col cuore infranto dalla tragedia che stava vivendo, PAPÀ BEPPINO chiedeva semplicemente di rispettare la volontà di sua figlia, sacrificò se stesso per la libertà futura di chi si sarebbe trovato nella stessa drammatica situazione. Questa Libertà, donata a noi cittadini e cittadine, la dobbiamo a lui e ai suoi 6233 giorni di lotta per la libertà di scelta, come lui stesso amava definirla. Dal gennaio 2018 infatti ognuno di noi può depositare la Dichiarazione Anticipata di Trattamento che ci offre, nella malaugurata previsione di un’eventuale incapacità di autodeterminarsi, la possibilità di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari.

In un momento storico così agghiacciante, in cui noi veneziani serbiamo sempre nel cuore il sorriso di Valeria Solesin, vorrei parlare di PAPÀ GEORGE e PAPÀ AZDYNE, perché la libertà di scelta, la scelta di vivere, era certamente quella di LOLA quando andò al Bataclan per trascorrere una serata in musica e allegria. Ma non fu così. E quando PAPÀ GEORGE ricevette la lettera di PAPÀ AZDYNE (il cui figlio Samy si fece esplodere quella notte) capì subito che sì, il mondo è bisognoso di dialogo, che l’armonia si ottiene solo parlando e per tale ragione nacque un’amicizia che ci offre un libro scritto a 4 mani Il nous reste les mots. Certo non è facile, e capiamo anche PAPÀ PATRICK JARDIN che dichiarò in tribunale, durante il processo per la strage: “Mi accusano di essere pieno di odio ed è vero, signor Presidente della Corte, provo odio e la cosa che mi fa schifo sono i genitori delle vittime che non provano odio. Quello che ha scritto un libro con il padre di uno dei terroristi mi fa vomitare”. Possiamo capirlo, al Bataclan anche lui perse sua figlia NATHALIE. Ma, dicono PAPÀ GEORGE e PAPÀ AZDYNE, se impariamo a sostituire la legge del taglione con il diritto, la vendetta con la giustizia allora, e solo allora, potremo parlare di CIVILTÀ.

Cosi come è civiltà lo slogan coniato dal giovane sposo, divenuto vedovo quella stessa notte, Antoine Leiris: «non avrete il mio odio».

L’odio da cui sono subito rifuggiti PAPÀ RAMI e PAPÀ BASSAM che a distanza di 10 anni hanno vissuto lo straziante dolore della perdita della propria figlia, per mano violenta di uomini fragili che – indotti ad odiare – conoscono solo il linguaggio del sangue.

Questi padri hanno tramutato l’odio del primo istinto in amore, attraverso la parola. L’appartenenza a Parents Circle for Peace li aiuta a trovare un dialogo e a diffondere pace e non odio. E credo che per noi tutte e tutti questo sia il messaggio che dobbiamo fare nostro in ogni istante del quotidiano, affinché divenga una forma mentis inattaccabile. Insieme RAMI e BASSAM si presentano in fraternità con il loro concreto vissuto da offrire come ricetta di Pace in ogni luogo del mondo dove invece si preferisce dar voce alle armi e non al senso di umanità che viene troppo spesso sopraffatto. Quel senso di umanità che ha saputo mantenere con grande dignità PAPÀ GINO CECCHETTIN che nella lunga lettera a GIULIA ci offre uno spaccato di vita quotidiana, di gioie e dolori comuni col cuore infranto da una tragedia più grande di lui, ma senza alcun atteggiamento vittimistico. PAPÀ GINO riesce a gestire le emozioni con grande razionalità e ci aiuta a capire come affrontare i drammi umani che ci portano spesso, troppo spesso, alla disumanizzazione della nostra natura.

E parlando di padri, come possiamo non riportare la nostra mente al PAPÀ simbolo della Resistenza: un PAPÀ che, persi 7 figli per mano dei nazifascisti, allevò 11 nipoti: PAPÀ ALCIDE CERVI.

PAPÀ ALCIDE ci ha lasciato generosa testimonianza della sua famiglia e il compianto Presidente Sandro Pertini così scrive nella Prefazione dell’edizione I miei 7 figli del 1980: «(…) ciò che colpisce, ancor oggi in questo racconto è in primo luogo l’arguzia, l’allegria, direi la virile felicità con cui la famiglia Cervi visse dal principio alla fine della sua tragica avventura. Non c’è una riga del libro che tradisca un atteggiamento vittimistico, un rimpianto, un compiacimento eroico.»

Sandro Pertini usa un’immagine bellissima: virile felicità.

Perché era questa la forza che spinse tanti e tante giovani ad aderire alla lotta partigiana. E lo confermò in Senato della Repubblica il 7 marzo del 1949, in cui ribadì la contrarietà di partigiani e partigiane all’adesione al Patto Atlantico.

Cito testualmente: «Noi siamo contro il Patto Atlantico, prima di tutto perché questo Patto è uno strumento di guerra… ma il nostro voto è ispirato anche ad un’altra ragione. Questo Patto Atlantico in funzione antisovietica varrà a dividere maggiormante l’Europa, scaverà sempre più profondo il solco che già separa questo nostro tormentato continente… Una santa alleanza (…) che porterà in sè le premesse di una nuova guerra e non le premesse di una pace sicura e duratura. Noi siamo contro questo Patto Atlantico (…). Perché non dimentichiamo, infatti, come invece dimenticano i vostri padroni di oltre Oceano, quello che l’Unione Sovietica ha dato durante l’ultima guerra. Essa è la Nazione che ha pagato il più alto prezzo di sangue. Senza il suo sforzo eroico le Potenze occidentali non sarebbero riuscite da sole a liberare l’Europa dalla dittatura nazifascista…»

CHE OGGI STIAMO CELEBRANDO QUI TUTTI INSIEME!!!

Cito ancora Pertini:«(…) domenica scorsa a Venezia, in Piazza san Marco, sono convenuti migliaia di partigiani da tutta l’Italia e hanno manifestato precisa la loro volontà contro la guerra, contro il Patto Atlantico e per la pace. Questi partigiani hanno manifestato la loro decisione di mettersi all’avanguardia della lotta per la pace, che è già iniziata in Italia, essi sono decisi a costituire con le donne, con tutti i lavoratori una barriera umana onde la guerra non passi. Questi partigiani anche un’altra volontà hanno manifestata, ed è questa: saranno pronti con la stessa tenacia, con la stessa passione con cui si sono battuti contro i nazisti, a battersi contro le forze imperialistiche straniere qualora domani queste tentassero di trasformare l’Italia in una base per le loro azioni criminali di guerra.»

SANDRO PERTINI fu un partigiano

SANDRO PERTINI fu IL Presidente

SANDRO PERTINI profeta

Come abbiamo sentito già nel 1949 la preoccupazione principale era il mantenimento della PACE!

Ma come ben sottolinea PAPÀ TAHAR BEN JELLOU, la pace va prima di tutto desiderata in ogni luogo dove ci sia un conflitto, va desiderata davvero tra i contendenti. E allora le riflessioni di questo PAPÀ (che nel 1998 diede alle stampe il suo famoso libro Il razzismo spiegato a mia figlia) che oggi ha scritto L’Urlo: Isreaele e Palestina. La necessità del dialogo nel tempo della guerra sono riflessioni assolutamente condivisibili e che vi leggo: «(…) D’altra parte non ci sarà pace fino a quando Hamas e i suoi mentori non smetteranno di inserire nella loro carta dei valori “la distruzione dello Stato di Israele” come fine ultimo. Non ci sarà pace fino a quando il governo di Israele non deciderà di decolonizzare i territori occupati, di cessare l’embargo su Gaza, di smettere di asfissiare gli abitanti di Gaza privati di acqua potabile, di medicine e di cibo».

E allora torniamo ai due Padri coinvolti personalmente in questa tragedia: PAPÀ RAMI e PAPÀ BASSAM che quando giungono agli incontri, sempre insieme, sempre nella virtù del dialogo si presentano così: «Mi chiamo Rami Elhanan. Sono il padre di Smadar. Sono un graphic designer, un israeliano, un ebreo, un gerosolomitano di settima generazione …» e «Mi chiamo Bassam Aramin, sono il padre di Abir. Sono un palestinese, un musulmano, un arabo. Sono vissuto in molti posti, in una grotta a Hebron, in una prigione per 7 anni, poi ad Anata e ora a Gerico…»

e fermiamoci su due parole, i due nomi scelti per le loro figlie:

SMADAR, che dal Cantico dei Cantici significa «il fiore che si schiude»

ABIR, che dall’arabo antico significa «la fragranza del fiore»

Ecco, due fiori recisi con violenza che i PADRI hanno raccolto con delicatezza ed amore infinito e che stanno intrecciando giorno per giorno insieme in nome della PACE!

PACE! PACE! PACE!

CESSATE IL FUOCO OVUNQUE!

CESSATE IL FUOCO! e sempre più forte ribadiamo qui e ogni giorno insieme

W l’ITALIA ANTIFASCISTA!

slogan non gradito nei teatri. W LA COSTITUZIONE ANTIFASCISTA! che non è riuscito a stravolgere Renzi nel 2016, per l’inequivocabile risposta del popolo, e che tanto meno riuscirà a stravolgere il Governo Meloni, con l’obbiettivo chiaro di ridurre la rappresentanza, la democrazia e l’uguaglianza con il premierato e l’autonomia differenziata. E sia chiaro, non saranno certo i manganelli sugli studenti a fermare la nostra opposizione!

ribadisco: W L’ITALIA ANTIFASCISTA!

Grazie dell’attenzione e Buona festa della Liberazione a tutte e tutti!


 

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